Da: “Sorelle nello spirito” Teresa di Lisieux e Elisabetta di Digione (pag. 309 a 313)
Dal libro dell’Apocalisse: “Essi non hanno riposo né giorno né notte, vanno dicendo: Santo, santo, santo il Signore Onnipotente, che era, che è e che sarà nei secoli dei secoli ... E si prostravano e adoravano, e gettavano le loro corone davanti al trono dicendo: Sei degno o Signore d ricevere la gloria, l’onore e la potenza” (Ap 4, 8.10-11).
Come fare a imitare nel cielo della mia anima questa incessante occupazione dei beati nel cielo della gloria? Come continuare questa lode, questa adorazione ininterrotta?.. Innanzitutto l’anima deve prostrarsi, sprofondarsi nell’abisso del proprio nulla... Allora potrà adorare. “Adorazione”, una parola celeste! Mi sembra si possa definire l’Estasi dell’amore. È l’amore sopraffatto dalla bellezza, dalla forza, dalla grandezza immensa dell’Amato. Si cade in una specie di rapimento, in un silenzio pieno e profondo... l’inno più bello che risuona eternamente nel seno della tranquilla Trinità. L’adorazione è “l’ultimo sforzo dell’anima che straripa dai propri confini e non riesce più a parlare” (Lacordaire). “Adorate il Signore, perché è santo (Sl 99,9). E ancora: “Lo si deve continuamente adorare per se stesso” (Sl 71, 15)
“Sento tanto amore sulla mia anima! È come un oceano nel quale mi immergo e mi perdo; è la mia visione sulla terra in attesa del faccia a faccia nella luce. Egli è in me, io sono in Lui, non ho che da amarlo, da lasciarmi amare, e questo per tutto il tempo, attraverso tutte le cose. Svegliarsi nell’amore, muoversi nell’amore, addormentarsi nell’amore, l’anima nella sua anima, il cuore nel suo cuore, affinché con il suo contatto Egli mi purifichi, mi liberi dalla mia miseria”. “Dio in me, io in Lui; questa deve essere la nostra parola d’ordine. Quanto bene fa questa presenza di Dio in noi, in quest’ultimo santuario delle nostre anime. Qui noi lo troviamo sempre, anche se non sempre avvertiamo sensibilmente la sua presenza: però Egli è qui lo stesso, ancora più vicino”. “Quanto fa bene questa presenza di Dio! È laggiù in fondo, nel cielo della mia anima che mi piace trovarlo, dato che Lui non mi abbandona mai. Dio in me, io in Lui, oh! È la mia vita! Fa tanto bene pensare che pur non essendo ancora giunti alla visione lo possediamo già come i beati di lassù, avendo la possibilità di non abbandonarlo mai, dio non lasciarci mai distogliere da Lui”.
“Che io non viva più se non al di dentro, nella piccola cella da te costruita nel mio cuore”.
La mia regola mi dice: “La vostra forza sarà nel silenzio”. Mi sembra quindi che conservare la propria forza per il Signore voglia dire creare in tutto il proprio essere l’unità mediante il silenzio interiore, raccogliendo tutte le proprie facoltà per occuparle nel solo esercizio dell’amore, avere poi quell’occhio semplice che pernette alla luce di investirci. Un’anima che discuta con il suo io, occupandosi della sua sensibilità, inseguendo un pensiero inutile, un desiderio qualsiasi, disperde le sue forze, non è affatto subordinata a Dio. La sua lira non vibra all’unisono e il suo Maestro quando la tocca, non può farne uscire degli accordi divini: c’è ancora troppa umanità, e ne esce una dissonanza. L’anima che nella sua sfera interiore conserva ancora qualcosa per sé, che non ha ancora tutte le sue potenze chiuse in Dio, non può costituire una perfetta lode di gloria...perché in lei non regna ancora l’unità. E invece di perseguire la sua lode attraverso tutto, nella semplicità, si vede costretta a raccogliere continuamente le corde del suo strumento, disperse un po’ dovunque.
Quanto è indispensabile questa bella unità interiore per l’anima che voglia vivere quaggiù la vita dei beati, vale a dire degli esseri semplici, degli spiriti... Il Maestro intendeva dire questo parlando a Maddalena del Unum necessarium”.